Cosa è coaching
Quando dico che sono un coach ICF (ma più in generale un coach), molti mi chiedono: “e cosa vuol dire”?
Ammetto che per anni, prima di arrivare al punto di fare un corso specifico in materia, anche io avevo le idee poco chiare.
Pensavo che il coaching fosse motivare: sbagliato.
Che il coaching fosse fare mentoring: sbagliato.
Che si trattasse di una sottospecie di psicologia: totalmente errato.
Un coach non fa quindi formazione (anche se in alcuni ambiti uno specifico coach può avere delle specializzazioni e quindi essere di supporto più specifico) ma è un partner a tutti gli effetti.
E’ un partner perché basa l’intero rapporto sulla parità, sulla massima fiducia reciproca, nel rispetto totale della privacy e, soprattutto, in sospensione di giudizio.

In effetti un coach non si occupa di gestire le fobie, i traumi e non si focalizza sul passato del coachee (cliente).
Un coach “traghetta” il coachee navigando verso la riscoperta del proprio potenziale partendo dal presente per arrivare ad un obiettivo futuro.
Il coach, prima di tutto, stabilisce un rapporto paritario con il coachee e con lui/lei sviluppa un vero e proprio processo creativo.
Inoltre:
Aiuta a mettere in luce le proprie risorse per utilizzarle al massimo ed in particolare:
- Aiuta ad aprirsi a nuove prospettive
- Migliora la capacità di elaborare ed esplorare
- Aumenta l’efficacia interpersonale
- Infonde maggiore fiducia nelle relazioni
- Spinge all’azione verso il proprio obiettivo.
- Fa in modo che le soluzioni e le strategie emergano dal cliente stesso
- lascia piena autonomia e responsabilità
- Riconosce i progressi del coachee
- Aiuta a fare chiarezza
- Fa le domande giuste per scoprire le proprie motivazioni

Perché una persona o un team può decidere di intraprendere un percorso di coaching?
- affrontare una nuova sfida lavorativa o un opportunità
- migliorare la propria consapevolezza
- scoprire le proprie risorse per affrontare alcune situazioni
- gestire l’insuccesso in ambito lavorativo
- migliorare le relazioni con gli altri (per il lavoro in tema ma non solo)
- ritrovare un equilibrio tra lavoro e vita privata
- gestire il successo (anche questo può diventare un problema)
- Individuare le proprie potenzialità

Perché un coach non da consigli?
Molto semplice…
Dare consigli può
- creare dipendenza e fare il coach vuol dire, prima di tutto, dare al coachee gli strumenti per essere indipendente
- deresponsabilizzare il coachee
- far perdere l’autostima
- creare insicurezza e sfiducia nei propri mezzi.
Un coach quindi parte dal presupposto che tutte le persone hanno già le risorse per cambiare le cose. Quello che serve è, appunto, prenderne coscienza e segnare la direzione giusta verso il proprio successo personale o lavorativo che sia.

Quanti tipi di coaching esistono?
Ci sono svariate tipologie di percorsi che si possono fare. Molti di tipo individuale (nella sfera privata ma non solo) e alcuni (in ambito business e sport) che possono essere eseguiti in gruppo o in team.
A seconda del percorso ci si concentra su vari argomenti come: l’autostima, la gestione del tempo, la gestione di obiettivi comuni, produttività, sport, gestione di conflitti, migliorare i processi decisionali, gestione dello stress…
Sicuramente ne avrò dimenticati altri 15 almeno…
Ciò che è sicuro è che ci sono studi che hanno dimostrato che, sebbene il coaching abbia come fine ultimo lo sviluppo personale, il risultati tangibili all’interno delle aziende hanno portato ottimi risultati su tanti fronti.

In effetti alcuni studi hanno dimostrato come il coach in azienda possa portare ad un elevato ritorno sull’investimento e che l’unico ostacolo all’implementazione di una politica di coaching sta proprio nella reticenza culturale e/o nella “paura” di formare i manager. Questo comporterebbe la messa in moto di un processo senza ritorno dove il coaching, per pura ragione di “salute aziendale” debba essere esteso a qualsiasi livello gerarchico.
E noi speriamo che anche i più scettici possano dissolvere le ultime reticenze per intraprendere un cammino pieno di piacevoli sorprese.
A questo punto credo di aver espletato il compito che mi ero prefissato.
Ma non mi stancherò mai di pensare alla gioia che provo nel vedere il viso della gente illuminarsi di cosapevolezza; udire parole com “grazie per avermi fatto le domande giuste”; oppure percepire l’emozione nelle parole di chi ha finalmente avuto il coraggio di tirare fuori le sue paure e i suoi dolori per farne un punto di forza.
Non è il coach che fa i miracoli, siamo noi, come persone, a recuperare la nostra forza, i nostri principi, i nostri valori, quei principi e valori che ci rendono inamovibili, che ci fanno essere autentici e ci fanno vivere la vita come vorremmo davvero, trovando la felicità dentro di noi e non all’esterno.